Come si può tenere in tensione e sul “chi va là” tutta la popolazione mondiale per quasi ottant’anni?
La Guerra Fredda è iniziata il 12 marzo 1947: da quel giorno infatti comincia la contrapposizione sistematica degli USA all’URSS, con la proposta del presidente Truman di mandare aiuti economici a Grecia e Turchia per scongiurare che subissero l’influenza sovietica. Ottant’anni di guerra psicologica, guerre per procura, spionaggio, macchine del fango, fake news, operazioni al limite del senso umano per costringere altri popoli ad unirsi alla “causa” socialista o antisocialista e anticomunista. Spesso, anche quando una forza si fa avanti ed è incline a una delle due parti ma non sottomessa, viene etichettata come sovversiva, antisistema o peggio ancora accusata di essere parte del sistema.
Spinte contrapposte in ogni direzione non hanno fatto altro che allungare il brodo, fino ad oggi. Il dollaro ha perso il 20% rispetto all’euro e mai come oggi si registrano container cinesi in arrivo nei porti statunitensi. Ora la partita sarà principalmente tra Cina e Stati Uniti. La parte repubblicana, da sempre, preferisce i metodi imperialisti della Russia, specialmente quella putiniana. Il bilaterale tra Putin e Trump ha sottolineato come ormai tutti gli equilibri siano dati dal potere economico: non si è parlato di integrazione, di piani umanitari o di ricostruzione dell’Ucraina, ma di confini, terre rare e risorse. Nessun encomio a militari o schieramenti: al momento quasi tutti sono in trincea, logorati da tre anni di guerra ad alto livello tecnologico. Impressionanti le immagini dei droni che inseguono letteralmente il bersaglio fino a colpirlo: sembra un gigantesco Squid Game, dove i potenti si divertono con noi come con topi in gabbia.
Zelensky si rifiuta di portare il paese alle elezioni, di fatto concedendosi un altro mandato da dittatore. Sia in Ucraina che in Russia sembra che ci siano solo due voci, le loro. Uno spiraglio di luce si è visto al bilaterale di Anchorage, in Alaska: Sergej Lavrov, ministro degli esteri russo e poliglotta, si è presentato con una felpa con la scritta “CCCP” (traslitterazione di “URSS” in alfabeto cirillico). Putin, come abbiamo detto più volte, tiene il piede in più scarpe, nemmeno fosse Della Valle. Ha un piede nella NATO: se gli ucraini stavano mettendo la NATO in Russia tramite la creazione di basi, Putin ha iniziato a mettere un po’ di Russia nella NATO. Molti cittadini dei due paesi hanno doppia nazionalità e, trattandosi di due lingue molto simili, diventa difficile capire chi fa davvero il “doppio gioco”.
Putin vorrebbe tanto entrare nella NATO, cosa che si stava paventando con Berlusconi vivo, ed è per questo che in tutti i modi ha cercato i salotti buoni dell’aristocrazia occidentale, in particolare europea. Purtroppo per lui, l’unico a dargli corda fu proprio Berlusconi, che però in certi ambienti non ha mai suscitato entusiasmo. Entrambi hanno provato di tutto: Berlusconi si è improvvisato albergatore e cantante per creare questa “lobby alternativa”. Ma il nostro caro “zio Putin”, come lo chiamano qui in Calabria, fa anche il triplo gioco: sta ricreando una sfera di influenza nei paesi limitrofi, avvicinando la Russia al modello dell’Unione Sovietica.
Non è sbilanciato con Israele come ci si sarebbe aspettati. Non dimentichiamo che l’ebraico è lingua ufficiale in Russia insieme al russo e che Odessa è, di fatto, una città israeliana. Zelensky stesso proviene da una famiglia interamente ebraica: suo nonno, Semyon Ivanovych Zelensky, fu ufficiale dell’Armata Rossa e combatté nella Seconda guerra mondiale.
Un appunto: Putin ha iniziato a lavorare nel KGB nel 1975. Nei 77 anni di Guerra Fredda finora, ne ha passati più di venti nei servizi: KGB, poi FSB dal 1989. Negli anni della caduta del Muro era di stanza a Dresda, negli uffici della Stasi (KGB Germania Est). Lui era presente negli uffici che seguivano la caduta del Muro, mentre questo avveniva. È stato anche vicesindaco di San Pietroburgo (ex Leningrado) e dal 1999 è stabilmente al governo, oggi considerato un nuovo Zar. Ha sbaragliato la concorrenza o eliminato chi era scomodo, anche fisicamente.
Quando Oliver Stone è andato ad omaggiarlo con un documentario, Putin ha pensato bene di minacciarlo di pestaggio all’uscita del Cremlino: Stone aveva fatto domande pungenti ma non oltraggiose (consiglio di guardarlo).
Per concludere: il nostro “zio” presenzia a tutti gli incontri dei BRICS come “fautore” e “promotore”, cosa che invece non ha fatto Xi Jinping, che ha disertato l’ultimo incontro. Forse ha “mangiato la foglia”? Russia e Cina hanno sempre avuto una competizione interna al socialismo, ma questa volta sembra qualcosa di più. Putin ha colto il punto e, nella fase conclusiva in Alaska, ha chiesto la mediazione della Cina e la sua inclusione tra i “volenterosi”. Questo potrebbe essere l’inizio di una nuova era, ma è difficile crederlo: Zelensky si oppone, e non si sa cosa abbiano pensato Biden e i democratici.
Zelensky va per la sua strada, non si capisce quale né quanto durerà. Prima della guerra, le strade ucraine erano già devastate dall’incuria e dalla cattiva gestione. Anche Putin gioca la sua partita a tutto campo, senza limiti di “accordi”. Ma quando si accavallano troppi accordi, c’è sempre una fregatura dietro l’angolo, grande quanto il Mondo. I BRICS nascono come alleanza tra grandi economie emergenti con l’obiettivo di rafforzare l’integrazione Sud-Sud e riformare la governance globale. Oggi il blocco ha ampliato i suoi confini: ai fondatori Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica si sono aggiunti Egitto, Etiopia, Iran, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Indonesia.
A sostegno del progetto sono stati coinvolti anche dieci partner – tra cui Bielorussia, Cuba, Kazakistan, Nigeria e Vietnam – e la Turchia si prepara a un possibile ingresso come membro a pieno titolo.
Gli obiettivi dichiarati sono chiari: promuovere una crescita economica più inclusiva, ridurre la dipendenza dal dollaro spingendo sull’uso delle valute nazionali, riformare le istituzioni finanziarie globali per garantire maggiore rappresentanza dei paesi emergenti e rafforzare la cooperazione nello sviluppo infrastrutturale e nella tecnologia. L’Italia e l’Europa dovrebbero considerare l’adesione o una collaborazione strutturata: favorire la diversificazione delle relazioni internazionali, ampliare l’accesso a mercati emergenti e risorse strategiche (energia, minerali) e mantenere rilevanza nel nuovo ordine multipolare, rafforzando al contempo la governance globale multilaterale.
Mentre la riproduzione della felpa del ministro degli esteri russo Lavrov spopola a livello Mondiale, oggi ascoltiamo “CCCP”, primo pezzo dell’album “Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi” dei CCCP – Fedeli alla linea, tornati da poco sui palcoscenici.
Ruggero Inglese
